Torniamo online (ma abbiamo continuato ad andare in voce all’interno del GiorNolo) con un’Agenda-non-Agenda in edizione speciale: a partire da un pezzo del NYT (perché lo sapete che siamo sempre stati un po’ megalomani), che abbiamo tradotto e adattato, una dichiarazione d’amore alla nostra meravigliosa Milano.
Errori, imprecisioni e… PM10 (!) sono responsabilità nostra; tutto il resto è merito dell’autore del (meraviglioso) originale, Roger Cohen, al quale speriamo di non aver mancato troppo di rispetto.
Buon (ri)ascolto e buona lettura!
Milano, torna, tutto è perdonato
Ti perdono, Milano. Ti perdono il tuo ringhiare, l’aggressività, il trambusto e la confusione. Ti perdono Orio al Serio e la spazzatura lasciata per strada. Ti perdono i taxi che non ci sono quando piove. Ti perdono le pozze ingannatrici d’acqua ghiacciata sui marciapiedi. Ti perdono perfino il calcio, i parcheggi inesistenti, i furgoni delle consegne costantemente in doppia fila.
Tutto è perdonato, ma per favore torna: gli “artisti” con l’amplificatore in metropolitana, il Fuori Salone e i Navigli il venerdì sera, il traffico, l’AMSA che ritira il vetro alle sei al mattino, il rumore incessante dei lavori della M4, l’aria calda e stantia dalle grate sopra la metro, i SUV fermi con il motore acceso, i negozi in Buenos Aires con le porte spalancate a gennaio, gli automobilisti con la mano incollata al clacson, il brusio senza sosta della città che non si ferma mai… finché un giorno si è fermata.
Ti perdono. Ti perdono ora e per sempre. Come ho potuto portarti rancore per la tua irrequietezza, il tuo accanimento, la tua sfacciataggine, la tua impudenza, le tue occhiate sapute, la tua invadenza, la tua impazienza, il tuo fregartene dei convenevoli; quando ho sempre saputo che il tuo più grande segreto era la coesistenza, per le tue strade, di un’ambizione fuori scala e dell’empatia che ogni milanese prova per il suo concittadino?
Torna, ti prego, e tutto sarà perdonato: le mandrie di turisti che vagano per Brera, le strade punteggiate di buche, i prezzi insensati, gli apericena ma-andiamo-a-casa-presto perché domani a Milano è un altro giorno e gh’è de laurà, la Settimana della Moda, i ristoranti che hanno un tavolo (forse) tra un paio di mesi, i marciapiedi troppo affollati, i malati di iPhone tutti a testa china nella metropolitana, il tuo non cedere mai e poi mai finché non avrai trasformato ognuna delle tue api operaie in zombie prima che faccia sera.
Ti perdono le zanzare (sì, perfino quelle), ti perdono il PM10 e le ciclabili che finiscono in niente. Sono rimessi tutti i tuoi peccati: l’afa insopportabile di agosto. Il vento gelido delle mattine invernali. L’impresa impossibile di arrivare con i mezzi fuori dalla cerchia. Ti perdono la folla, la follia, la crudeltà, le bestemmie e le imprecazioni, i clienti che si lamentano costantemente, l’impazienza dei negozianti e gli scioperi dell’ATM il venerdì.
Ti perdono le insalate gourmet, i ristoranti che servono solo cibo crudo, le tue mode assurde. Ti perdono i predicatori che urlano per strada, i genitori che bloccano il traffico per chilometri intorno alle scuole. Ti perdono la Rinascente a Natale e Vittorio Emanuele il sabato pomeriggio. Ti perdono le file infinite per entrare in Duomo, la calca di fronte al Bacio di Hayez o al Cristo del Mantegna o al Quarto Stato, i vagoni della rossa murati di gente all’ora di punta. Ti perdono chi non lascia scendere prima di salire, e gli ubriachi che pisciano e vomitano nei tuoi parchi e per le tue strade.
Ti perdono la sede centrale dell’Anagrafe. Ti perdono le code infinite agli ATM Point. Ti perdono la differenza brutale tra chi può e chi non può, tra Sant’Ambrogio e Gratosoglio. Ti perdono i pullman per Orio al Serio e il prezzo del Malpensa Express.
Sono disposta a perdonarti il fatto che per andare a Linate ci sia da prendere un autobus in San Babila. Ti perdono la puzza di piscio la mattina di domenica, i vetri rotti per strada, e il modo in cui ci hai tutti convinti che “Potrei avere un buco il mese prossimo” sia una risposta accettabile.
Ti perdono per tutte le volte che mi hai mandato fuori di testa, o fatto venir voglia di urlare “Voglio andarmene di qui”. Ti perdono tutto, senza eccezione, purché tu prometta di tornare.
Ti supplico, non fare l’orgogliosa. Lo so, siamo idioti irresponsabili, e ti abbiamo trascurata. Io ti perdono: perdonaci anche tu. Non avremmo mai immaginato quanto silenziosa saresti potuta diventare, le notti risuonanti di sirene, i malati e i moribondi, i medici al lavoro nel X cerchio dell’Inferno, le vie spettrali di negozi sbarrati, i cieli vuoti, gli eventi annullati, i guanti di plastica e le mascherine abbandonati qua e là come residui da post-apocalisse. Ti abbiamo data per scontata.
Sì, perdonaci: perdonaci per non aver reso grazie ogni giorno per il miracolo che è Milano.
So di non averti ringraziato abbastanza per le mattine chiare d’inverno, per quel pub che adoro, per la tua tolleranza, le tue braccia spalancate, per il luccichio del sole sulla Madonnina, per la tua abbondanza, per i panzerotti e la pizza e il ramen, per i tuoi segreti svelati pian piano, per il tuo non avere limiti, per la tua audacia, l’agitazione, per i tuoi chiostri, la tua umanità, il tuo spirito, per l’Idroscalo, per i cortili nascosti, per lo spettacolo di piazza Duomo dal Museo del Novecento, e del Museo del Novecento da Piazza Duomo.
Per quando uscendo dalla Stazione Centrale ti vedo e penso “sono a casa”, per avermi accolto come nessun altro luogo ha fatto mai.
Sono milanese, andavo di fretta, ero distratta. So che capisci. Perdonami, ti prego. Perdonaci tutti. Ci metto pure i piccioni: ti perdono per ogni singolo, schifoso, orrendo piccione. Ma tu torna, per favore, torna: so che possiamo metterci d’accordo.