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Racconti dal quartiere

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Via Padova, proteste e proposte

12 Settembre 2019Redazione
  • News

C’è un tratto di via Padova – quello, per la precisione tra i civici 35 e 37 – i cui abitanti vivono ormai da mesi in ostaggio di un sempre più nutrito gruppo di persone che ha eletto il marciapiede, su entrambi i lati della strada fino a via Cecilio Stazio, a propria residenza.
Senza soluzione di continuità, dalle 8 di mattina a ben oltre la mezzanotte, sette giorni su sette, il gruppo in questione consuma alcool in quantità acquistato da due minimarket aperti 24 ore, ascolta musica a tutto volume e trascorre la giornata tra discussioni e incontri che spesso degerano in rissa. E che si sostanziano sempre più spesso in scampanellate notturne ai citofoni, insulti e minacce rivolti ai passanti. Per chi abita nei palazzi immediatamente sopra i civici interessati, è impossibile dormire, lavorare, guardare la tivù a finestre aperte. Chi ha figli piccoli, si ritrova costretto a vivere barricato in casa perché non si sveglino, anche nei giorni di sole e caldo che ancora la stagione ci sta regalando. E per chi passa per quel tratto di strada, ormai ha del miracoloso non finire oggetto di attenzioni non richieste: non resta che rassegnarsi e camminare tra una distesa di bottiglie di birra, pipì e rifiuti di altro genere.

A denunciare, con coraggio, una situazione sotto gli occhi di tutti, sfuggita completamente al controllo non solo dei cittadini, ma a quanto pare anche delle forze dell’ordine – è stata Manuela, che in un post comparso il 1 settembre sulla Social District ha chiesto, con parole accorate, un aiuto. E quando l’abbiamo incontrata, ha sgombrato subito il campo da facili polemiche o prese di posizione. La sua denuncia, come quella di molti altri, non ha nulla a che vedere con nazionalità, culture e pregiudizi.
Sentiamo cosa ci ha raccontato.

Andiamo per punti, allora: chiamare la polizia e denunciare l’accaduto è mai servito a qualcosa?
Già, la polizia annonaria: perché anche tra chi, sono stati oltre 400, ha commentato il post di Manuela, molti puntano il dito contro i rivenditori di birra. I quali però paiono operare in una delle classiche zone d’ombra all’italiana, in cui tutto è vietato e allo stesso tempo possibile. Possono vendere birra a tutte le ore? Pare di no. Eppure. O forse si, ma non fredda. Quindi? Hanno un frigo? Si ma a volte non ci tengono la birra. Insomma, una situazione kafkiana in cui appellarsi ai regolamenti – non essendo nemmeno chiaro quali siano – diventa pressoché impossibile.
Qualcuno suggerisce il dialogo, il tentativo di spiegare a chi non se rende conto che alcuni comportamenti sono lesivi della libertà altrui. Ma in che termini è possibile dialogare? Ed è davvero possibile farlo senza mediazione? Ancora Manuela ai nostri microfoni.

Un primo incontro, informale, tra i cittadini chiamati a raccolta dopo il post di Manuela, ha portato alla definizione di un punto chiaro e condiviso: risolvere questa situazione e le molte altre che interessano per esempio, Via Giacosa con la Gozadera, via Mosso dove qualcosa è stato fatto, il Trotter, ecc…è possibile solo con un’azione coordinata e compatta dei cittadini, anche riuniti nelle tante associazioni che operano nel quartiere il cui fine deve essere ottenere e garantire nel lungo periodo un presidio del territorio, innanzitutto da parte delle forze dell’ordine e poi anche dai cittadini stessi. Forse non molti sanno che le aree intorno a noi interessate dai problemi di ordine pubblico afferiscono a una stazione di polizia la cui sede è, pensate, in via Settala, a quasi 3 km di distanza. Dino, che fa parte dell’Associazione Amici del Parco Trotter, fa un utile piano di intervento, per punti. Curiosi di sapere quali possano essere le soluzioni? Ascoltate lo speciale!

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